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16/04/2024

Un'Europa senza valori è più indifesa di un'Europa senza Nato

Dovendo ragionare sul futuro dell'Europa, come da tempo si va ragionando in Europa, può capitare di rimpiangere di non averlo fatto prima, perchè ora tutto appare più difficile. Dinanzi alle incognite del tempo presente, infatti, si rischia che il disorientamento acuisca le divisioni sempre all'opera nel processo di integrazione europea. Quanto sta accadendo nel mondo, in più parti del mondo, è sotto gli occhi di tutti; ma come debba concretamente reagire l'Europa è nella mente di pochi. 

Di certo al Vertice europeo  che si svolgerà domani a Bruxelles se ne parlerà, sotto diverse angolazioni. Su tutte il tema della competitività economica. L'Europa, spiegata con concetti che non vogliono banalizzare ma recuperare una visione d'insieme,  si trova ad affrontare un mondo in guerra, e incomincia seriamente a chiedersi come farà a restare in sella se ile servono tanti soldi per  una difesa comune e se le regole in materia di commercio mondiale non la proteggono più come un tempo dagli appetiti smodati dei grandi competitor quali Cina, Stati Uniti, Russia. In altre parole, come restare a galla in mezzo agli squali.

In questi anni siamo stati fiduciosi e orgogliosi della bandiera europea che sventola gagliarda sul cammino dell'umonaità verso un futuro sostenibile e non più votato all'autodistruzione. La condivisione tra i 27 stati membri di obiettivi climatici così ambiziosi , per cui al 2050 l'Europa intende essere la prima economia a zero emissioni, si sta sgretolando dinanzi alle proteste generalizzate di agrioltori, industriali, proprietari di case e via dicendo; e sta cedendo ancor più alla paura di doversi difendere e non sapere come. Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e l'industria, ha stimato in 100 miliardi il fabbisogno dell'industria della difesa europea nei prossimi anni. Nelle sue parole si intravede lo spettro, nel caso di  una  rielezione di Trump alla Casa Bianca, di una possibile intesa "non convenzionale" tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin, a scapito della Nato, dell'Ucraina e dell'Europa tutta. Interessi che vanno oltre la dinamica tra grandi potenze e e sfociano nel puro e semplice imperialismo autoreferenziale.

Eppure l'Europa è il frutto della caduta degli imperialismi e dei totalitarismi e di  una forza nuova che è stata la pace. Non quella post bellica semplicemente, ma quella voluta e costruita con pazienza e tenacia da menti e cuori visionari. Se tutti gli europei sapessero fare appello a quella forza e testimoniarla a quanti oggi in tutto il mondo vi aspiranocon la stessa determinazione a dare tutto pur di averla, la follia della guerra troverebbe la sua giusta condanna.

Clotilde Lombardi Satriani

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15/03/2024

Fino a quando?

L'Unione Europea, a livello di ministri degli Esteri, ragiona sulla guerra in Ucraina e lo farà ancora una volta lunedì 18 marzo, alla vigilia di un Vertice dei Capi di stato e di gioverno della UE che è già stato ribatezzato il Consiglio di guerra e che avrà luogo il prossimo 21 marzo. Il lavoro svolto in questi mesi in seno ai comitati per la cooperazione tra i governi, meglio noti come Coreper, consente di portare in dote il consenso dell'Ungheria allo stanziamento di 5 miliardi in aiuti militari all'Ucraina attraverso lo strumento creato ad hoc della European Peace Facility. 

La parola che risuona nelle dichiarazioni di chi ha condotto le trattative è " a lungo termine"; vuol dire reperire le risorse finanziarie per dare un supporto anche militare all'Ucraina a lungo termine, appunto, senza il rischio di rincorrere l'irrefrenabile prosciugamento degli stock di armi e munizioni a disposizione. 

Va bene a lungo termine, ma fino a quando?

La tanta temuta escalation c'è già stata, a guardare bene, ed è di natura antropologica. Avivene quando un organismo muta radicalmente essenza, spinto dalle circostanze ma per propria volontà. E' più che un semplice adattamento. Ora l'Europa nel giro di due anni ha deciso in progressione: di essere dalla parte dell'Ucraina; di sostenerla militarmente; almeno in linea di principio di farla entrare nella UE; di riarmarsi in una logica , " a lungo termine", autarchica, cioè a prescidnere dall'onnipresenza degli Stati Uniti in materia di sicurezza e difesa; e infine, fors'anco di inviare soldati sul campo. 

Ecco perché in tanti, a cominciare dal Papa, si chiedono: fino a quando?  E' certo che se il Green Deal costa tanto in termini di riconversione dell'industria e dell'agricoltura, potenziare l'industria della difesa europea invece promette solo ritorni economici in grande abbandonanza. 

Non è certo l'Europa che avevano sognato i Padri fondatori. Ma spiegare la pace a chi non ha vissuto la guerra, nell'era dei social, può essere impresa ardua; ed è più facile mobilitarsi per la causa di un popolo che chiedersi che tipo di Europa vogliamo davvero. E' più facile urlare slogan che comprendere che se uno stato fornisce armi ad un paese terzo, di cui si è stabilito il bisogno di un aiuto militare, ma non lo faccio attraverso il filtro dell'Europa bensì di mia iniziativa, per poi andare a compensare in termini di soldi da versare e soldi da farmi rimborsare, è proprio l'idea di Europa che viene a risentirne.

Parleremo tanto di elezioni europee nei prossimi due mesi, ma intanto l'Europa brucia a sud e ad est. Fino a quando?

CLS

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06/03/2024

Tanto tuonò che piovvero.....armi

Dunque, il dado è tratto. Due anni di guerra, e forse una transizione verde che si è rivelata cammino arduo e insidioso per i i costi sociali e produttivi di interi settori, hanno definitivamente spinto l'Europa a ridisegnare il futuro secondo linee inimmaginabili soltanto alcuni fa: un panorama prolifico e minaccioso di armi, ma , sia ben chiaro, made in Europe. 

E' strano, ma su tutto regna una grande ipocrisia. Nel manifesto adottato dal Partito Popolare Europeo in vista delle fatidiche elezioni europee si parla dei valori comuni e di una cultura giudaico- cristiana condivisa. Come perfetti sepolcri imbiancati, i politici del PPE dimenticano che proprio il massimo rappresentante del cristianesimo, Papa Francesco, ricorda al mondo intero che la radice del male è nella produzione di armi, perché, come diceva don Giussani, se produci migliaia di armi prima o poi qualcuno le userà.

Ma l'Europa ha paura. Ha paura del nemico esterno, che si chiama Russia e forse Cina, ed ha paura del nemico interno, di quell'odio neanche più tanto strisciante che inquina la sua linfa vitale e che si manifesta con episodi di intolleranza verso chi è debole, verso chi è diverso, verso chi da sempre è stato l'uno e l'altro ossia perseguitato a causa della sua diversità. Lo scorso dicembre la Commissione europea e l'Alto Rappresentante per la sicurezza e la politica estera hanno adottato una comunicazione congiunta, dal titolo " Nessuno spazio per l'odio in un'Europa che, unita, lo ripudia". Dopo lo scempio dell'odio di Stato del secolo scorso oggi constatiamo che esiste un odio anti-stato, semplice chiamarlo populismo, ma è molto di più. Comunque è in primo luogo odio.

L'Europa reagisce nella misura in cui può: immaginando di trasformare in prodotto economico un principio sfuggente, come la paura. E allora occorre chiedersi: basterà la paura a rendere i cittadini europei consenzienti alla nuova Europa che si profila all'orizzonte? E se è vero che se produci armi qualcuno prima o poi dovrà usarle, chi in Europa è disposto ad andare in guerra?

 

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13/02/2024

L'Europa fortezza, e la crisi degli agricoltori

Il nuovo codice Schengen, che presto entrerà in vigore dopo che Parlamento e Consiglio hanno trovato l’accordo, è il consolidamento di un processo di progressiva chiusura delle frontiere esterne dell’Europa, sia pure limitatamente al fenomeno della immigrazione c.d. irregolare o in circostanze di emergenza quali le pandemie.

Letta nelle sue implicazioni, sul piano della dignità dell’uomo in quanto tale, il cambio di passo dell’Europa lascia intendere in realtà tutt’altro: anche le persone , al pari delle merci, devono essere regolamentate  quando entrano in Europa e se questo non è possibile perché vi accedono per vie illegali, allora l’unica soluzione eletta dagli Stati membri e dalla Commissione è quella dell'inasprimento dei controlli e delle misure di repressione, quali I rimpatri accelerati e forzati.

Invece, gli agricoltori europei lamentano l’ingresso, quello sì legale in base agli accordi di libero scambio, di beni agricoli che vanno ad intaccare, pur con qualità scadente ma forti di prezzi più bassi, la loro stessa esistenza sul mercato.

Quello che non si mette in evidenza è che esiste tuttavia un nesso tra I due fenomeni. Infatti gli accordi di libero scambio sono stati per anni la vera arma geopolitca dell’UE, capace di condizionare le relazioni con I paesi extra UE, imponendo loro, in cambio delle agevolazioni tariffarie, il rispetto di una serie di condizioni nel campo dei diritti umani, sociali ed ambientali.

Oggi la Tunisia è tra i paesi di partenza delle masse di uomini e donne in cerca della loro terra promessa. Ma la Tunisia , protagonista negli scorsi anni di un’illusoria rinascita democratica durante il periodo delle c.d. primavere arabe, venne fatta oggetto di particolare attenzione da parte dell’Unione Europea, che proprio per incoraggiarne la difficile transizione verso forme di governo più democratiche, abolì nel 2016 una serie di dazi, tra cui quelli sull’olio d’oliva, principale produzione di quel paese.

Le conseguenze di tale politica sui nostri agricoltori, e non certo sugli agricoltori olandesi o tedeschi, le conosciamo bene, come pure è accaduto con le arance del Marocco.

Sforzi anche generosi, ma che si sono rivelati inutili, sostituiti di recente da nuove promesse economiche in cambio  dell’impegno da parte della Tunisia  di impedire le partenze dei migranti.

Ma intanto un intero settore agricolo, in particolare nelle regioni meridionali, ha subito la nefasta combinazione di xilella, siccità e concorrenza estera inarrestabile.

Il Commissario Dombrovskis ha rivendicato davanti al Parlamento Europeo un surplus di oltre 60 miliardi del settore agro-alimentare europeo, grazie agli accordi di libero scambio come quello del 2018 con il Canada.

La domanda che c’interroga tutti quando pensiamo al futuro dell’Europa è come saprà restare in piedi in un mercato mondiale che sembra voler rigettare la globalizzazione ed attuare invece  politiche di protezionismo dall’esterno e di aggressione anche sleale verso l’esterno.  La Cina lo ha sempre fatto, in futuro potrebbero farlo anche gli Stati Uniti se dovesse essere rieletto Trump.

CLS

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06/02/2024

Il mondo secondo Jacques Attali

Jacques Attali, teorico economico e sociale francese, scrittore, ex consigliere politico e alto funzionario pubblico, ha di recente pubblicato un libro dal titolo "Le monde, modes d'emploi" recensito nella Library Blog del Consiglio europeo. E' lo sguardo attento e preoccupato di uno storico, che disegna una parabola del comportamento umano attraverso due i secoli, a partire dalle primordiali società agricole nella culla della civiltà che era l'Oriente e poi in Cina, India, Grecia dove ad affermarsi erano i grandi imperialismi. 

Attali analizza la svolta nel XI° secolo con il sorgere dell'ordine mercantile, precursore della moderna economia di mercato, dove a spingere lo sviluppo ed il progresso delle comunità locali  vi è un fulcro urbano capace di dotarsi dei mezzi finanziari, militari e culturali per contraddistinguerlo come realtà autonoma. Due elementi ne caratterizzano l'esistenza: il cuore e la forma. Il primo viene ad identificarsi in successessione con le grandi città portuali da cui si governavano gli scambi commerciali con tutto il mondo, in sequenza storica: Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e infine Los Angele.

Oggi, nell'era contemporanea ci s'interroga con ansia dove si situerà il "decimo" cuore, se negli Stati Uniti, in Cina o in Europa. Ma lo scenario che si va profilando è un altro, ossia di una forma di espansione e dominazione senza cuore, governata non da strutture statuali ma dalle grandi imprese.

Venendo ai possibili scenari in un orizzonte 2050 Attali coglie con preoccupazione l'emergere di tre minacce gravi, potenzialmente mortali, ossia la questione climatica, l'iperconflittualità e l'artificializzazione. Se nell'immediato la questione climatica sembrebbe occupare il priòo posto, non foss'altro perchè adombra fosche minacce di desertificazioni di interi continente, anche la minaccia militare è più che mai atuale, non solo per i conflitti già in atto ma perchè lo spazio cybernetico con tutte le incongnite non preserva nulla e nessuno dalle sue conseguenze distruttive. 

Infine l'artificializzazione, che non coincide soltanto con l'intelligenza artificiale, ma con quel processo per cui anche l'eesere umano potrebbe ridursi ad essere non più qualcuno ma qualcosa frutto di artefatto, all'interno deli processi di gestione di settori quali la sanità, l'educazione , l'informazione, le relazioni umane e via dicendo.

Attali si volge con sguardo disincantato calla speranza che l'umanità possa rendersi cosciente e penetrare con lucidità e consapevolezza nel proprio destino.

L'Europa ha bisogno di un'anima, diceva Jacques Delors. Ora Jacuqes Attali sembra ritrovare l'eco di quelle parole e rilanciarle più forti che mai.

Clotilde Lombardi Satriani

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27/01/2024

Giornata della memoria. Il Parlamento europeo ascolta la voce di una sopravvissuta

La vita oltre il male. Così  Irene Shashar, sopravvissuta del ghetto di Varsavia, si è rivolta ai deputati in plenaria a Bruxelles per commemorare la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto.

Anche nelle assemblee più formali, come la plenaria del Parlamento Europeo, irrompe la voce dell'umanità messa alla prova. E' successo quest'anno in occasione della Giornata della Memoria. Non una commemorazione di routine, che evoca ricordi difficili da digerire, ma ormai in qualche modo sospesi nelle maglie della storisa No, quest'anno proprio quella storia si è fatta presente, con tutta la sua assurdità. 

E' così che la presenza di Irene Shashar, sopravvissuta  agli orrori del nazismo a Varsavia come una "bambina nascosta dell'Olocausto", in fuga attraverso una fogna verso il lato ariano di Varsavia dove amici di sua madre li hanno aiutati, è servita a ricordare oggi, a tutta l'Europa,  che la posta in gioco non è soltanto il lutto per un attentato terroristico qualunque. E' qualcosa di più grave e profondo, con cui l'Europa tutta deve fare i conti, E precisamente il fatto che un conflitto di natura locale, come tanti nel resto del mondo, abbia avuto la capacità di suscitare ancora una volta l'ennesima manifestazione di intolleranza verso gli ebrei in quanto tali.

Irene Shashar vive ora in Israele. Ha detto: "Sono stata benedetta con l'opportunità di avere figli e nipoti. Ho fatto la cosa che Hitler ha cercato di prevenire così duramente. Hitler non ha vinto!”

Parlando della guerra in corso e degli attacchi terroristici del 7 ottobre, ha detto di aver lasciato il suo paese "in seguito a violenze, omicidi, stupri e terrore" e ha chiesto ai deputati al Parlamento europeo la loro solidarietà e il loro sostegno per far sì che gli ostaggi siano riuniti con le loro famiglie.

Dopo il 7 ottobre, "la rinascita dell'antisemitismo significa che l'odio del passato è ancora con noi", ha avvertito Shashar. "Gli ebrei ancora una volta non si sentono al sicuro in Europa. Dopo l'Olocausto, questo dovrebbe essere inaccettabile. ‘Mai più’ dovrebbe significare mai più.”

Riferendosi all'Europa, che ha saputo mettere da parte l’odio del passato e riunirsi, ha dichiarato che il suo sogno era che "i miei figli, tutti bambini, vivano in un Medio Oriente pacifico, libero dall'odio, specialmente verso di noi, gli ebrei. Nel mio sogno, gli ebrei trovano sicurezza ovunque scelgano di chiamare casa. E l'antisemitismo è finalmente una cosa del passato.”

Terminando il suo discorso, Shashar ha detto che mentre lei ha vinto contro Hitler, i suoi nipoti devono ancora lottare per la loro sopravvivenza. "Chiedo a voi, Parlamento d'Europa, di contribuire a realizzare il mio sogno. Insieme a voi possiamo porre fine all'antisemitismo e raggiungere una pace duratura."

Clotilde Lombardi Satriani

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L'Industria della Difesa va all'attacco

Bruxelles, 16 febbraio 2018

E' iniziato in questi giorni il processo istituzionale per l'approvazione di uno dei tanti regolamenti europei. Questo è però un regolamento particolarmente significativo, poiché si occupa specificamente di Industria della Difesa e solo di Industria della Difesa; è questo fatto è una novità assoluta.

Sino ad oggi l'UE non si è occupata , in forma comunitarizzata, di sicurezza e difesa se non in modo indiretto; attraverso la Ricerca e Sviluppo Tecnologico - ad esempio - e comunque in un'ottica di progettualità duale (civile e militare) ove a prevalere era sempre l'applicazione civile

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La European Peace Facility: strumento di pace o embrione della futura politica di difesa della UE?

Bruxelles, 1° marzo 2022

Nell'intento di rafforzare l'incisività delle misure contro la Russia e indurla a tornare sui propri passi, l'UE ha compiuto un nuovo balzo in avanti. Ieri il Consiglio ha deciso di utilizzare per la prima volta la European Peace Facility per inviare armi letali all'Ucraina, allo scopo, secondo le regole di ingaggio previste per questa operazione che strumentale sempre alla prevenzione , ripristino e mantenimento della pace. Nello specifico copre tutte quelle azioni che abbiano un'implicazione sul piano militare e della sicurezza. Dunque, la guerra in Europa tra Russia e Ucraina risponde in pieno ai criteri indicati; tuttavia, consentendo l'invio di armi di fatto l'Europa ha deciso di giocare su due piani: in primo luogo, si palesa in controluce l'inattesa possibilità che la resistenza opposta dagli ucraini all'avanzata dei russi possa invertire e capovolgere gli apparenti equilibri di forza più delle stesse sanzioni, senza dubbio di non poco impatto, adottate dall'UE. Dall'altro lato non si rinuncia al braccio di ferro sul piano economico tra la Russia gigante energetico e l'Europa che alla dipendenza preferisce la superiorità morale e internazionale. Si cerca in questo modo di smuovere anche le coscienze interne alla stessa Russia, perché sscelgano di stare dalla parte giusta della storia. Ma vediamo nel dettaglio le nuove misure adottate.

Sono vietati i voli di operatori russi in direzione o provenienza dall'Europa. Completamente. Sono vietate tutte le operazioni relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale di Russia.

A titolo dello strumento dello strumento europeo per la pace (EPF) vengono stanziati 450 milioni di euro per finanziare la fornitura alle forze armate ucraine di materiale e piattaforme militari concepiti per l'uso letale della forza. Sono previsti poi ulteriori 50 milioni di euro in forniture non concepite per l'uso letale della forza quali dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante.

Certo, nessuno avrebbe immaginato che questo nuovo strumento, istituito nel 2021, avrebbe avuto quale banco di prova proprio il gigante russo, con cui l'Europa intrattiene molteplici relazioni commerciali ed economiche. E sopprattuto prima che gli stati europei si fossero dotati della c.d. Bussola Strategica per una politica di difesa comune. Si sa, i balzi in avanti o innovano o precipitano le cose. I prossimi giorni daranno l'esito.

CLS

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L'impensabile tocca tutti

Bruxelles, 28 febbraio 2022

Gli eventi che si stanno verificando in Ucraina in questi giorni appartengono all'ordine delle cose imponenti.

Imponenti nel senso letterale del termine, quel tipo di cose che "si impongono" (per dimensione, gravità, forza,ecc.) e che al contempo "impongono" alle nostre coscienze e intelligenze modi non abituali di guardare e valutare la realtà; come la possibilità attuale della tragedia, la concretezza e vicinanza del dolore, la forza improvvisa e incontrollabile del male.

Il tutto sulla nostra terra. Perché l'Ucraina è Europa e gli ucraini - come i russi - sono europei.

I popoli, le società civili stanno reagendo come possono: con manifestazioni di massa (es. Berlino), di solidarietà (ovunque) di accoglienza (Polonia e Romania).

Ma cosa stanno facendo le grandi organizzazioni che la nostra civiltà ha creato appositamente per limitare e gestire i conflitti che la vita e la storia periodicamente pongono in essere?

Partiamo dall' ONU. E' stato immediatamente convocato il Consiglio di Sicurezza ove è stata proposta una risoluzione di condanna della Russia. Risultato: 11 voti a favore, 3 astenuti (Cina, India e Em. Arabi), 1 veto (Russia); risoluzione bloccata. Gli altri 170 paesi membri non hanno avuto altro modo per mostrare il loro sostegno all'Ucraina se non quello di alzarsi per un lungo applauso dopo le parole più che adeguate (chiedevano un minuto di silenzio per le vittime innocenti) dell'ambasciatore ucraino.

L'Unione Europea. Dopo i primi giorni di tentennamenti sembra stia rendendosi conto che non si può stare al traino degli USA quando il dramma si svolge sulla porta della tua casa.

E ieri sono iniziate le prime sanzioni serie e visibili. A oggi pare proprio che gli Stati membri dell'UE questa volta abbiano imparato ad agire insieme, lavorando su obiettivi concreti e misurabili. Il Covid ha insegnato qualcosa.

Per la prima volta nella sua storia l'UE ha deciso di fornire armi letali ad uno Stato terzo per la sua difesa.

Gli USA. Al di là delle parole forti del presidente Biden la loro azione e reazione é decisamente al di sotto delle possibilità contenute nel loro portafoglio.

La NATO. La NATO non è solo una struttura militare, ma all'interno dell'Alleanza Atlantica anche e soprattutto un attore di tipo strategico che opera su più piani, come quello economico, di controllo delle materie prime, delle vie globali di rifornimento, ecc.

Per ora sta agendo sopratutto su questo piano; ed è bene che sia così.

Rimane la Russia con i suoi alleati (Bielorussia). Perché Putin ha scatenato tutto questo? cosa ne spera? cui prodest?

Difficile rispondere. E forse non essenziale, a questo punto.

Vi è però una domanda che prima o poi noi europei dovremo porci e intorno alla quale forse alcuni insegnanti saranno chiamati a ragionare con i propri studenti; ed è la seguente: posto il rifiuto della guerra (vedasi Costituzione Italiana) quali strumenti si devono usare per "fermare il braccio che colpisce l'innocente"?

La società europea che uscirà da questo confronto dovrà aver fatto almeno qualche passo avanti nella capacità di distinguere e vivere congiuntamente il "rifiuto della guerra" e "l'applicazione della giustizia".

Clotilde Lombardi Satriani

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La guerra di propaganda e le armi vere

Bruxelles, 28 febbraio 2022

Colpisce in questa situazione difficile da decodificare la novità assoluta delle decisioni adottate ieri dall'Europa e singolarmente da alcuni suoi stati membri: ossia l'invio di armi all'Ucraina. Che siano letali, come contestato da alcuni politici italiani, è difficile da negare: tutte le armi sono letali, sono fatte apposta per essere tali. Ma allo stesso tempo l'Europa ha fatto un altro passo. Ha chiuso i confini europei ai media russi in un tentativo di contrastare la guerra di propaganda condotta dalla Russia e dai suoi alleati. Sembra di evocare qui l'interesse legittimo che ogni volta che ti ritrovi nelle lande sperdute di internet pensando di essere al riparo da sguardi indiscreti, ti viene chiesto invece di accettare perché ogni sito ha un prezzo occulto e ne devi essere consapevole e pronto a pagarlo. Ora, se nel nome dell'interesse legittimo non precisate parte terzi possono sapere tutto di te, suona un paradosso che nel nome dello stesso interesse legittimo l'Europa stabilissca che non si debba sapere più nulla di quella che pensano ufficialmente i russi. Siamo in guerra, insomma, su tutti i fronti ormai. Guerra diretta sul piano della propaganda e guerra per interposta persona ( osssia la sventurata Ucraina) sul piano del confronto militare. Speriamo che spararle sempre un po' più forte dell'avversario nel primo campo serva ad impedire che lo stesso accada nel secondo.

Clotilde Lombardi Satriani

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Il vitello d'oro ( anzi di diamante) e la guerra in Ucraina

Bruxelles, 26 febbraio 2022

Spicca un paradosso nella complicata e pericolosa vicenda della guerra in Ucraiana. Mentre i leader europei cercano l'accordo, per ora non trovato, sull'opportunità di colpire la Russia con sanzioni "devastanti", come spesso annunciato facendo eco alle dichiarazioni di Biden, i beni di lusso compresi i diamanti scivolano inosservati dal paniere delle sanzioni approvate. Quanto vale la vita di un ucraino? Senz'altro meno di un diamante, verrebbe da dire. La giustificazione addotta, a parziale copertura ed in soccorso all'Italia ed al Belgio responsabili in ultima analisi di questa scelta, sarebbe l'ininfluenza di tali beni sull'economia russa, che invece si è scelto di colpire con ben più incisive misure a carattere finanziario e nei settori dei trasporti, dei trasferimenti tecnologici e della libera circolazione delle persone implicate a vario titolo con il regime di Putin. Magari sarà anche vero, eppure resta l'amaro in bocca nel constatare che certi vizi di ricchezza sfidano impavidi i carriarmati e trovano sempre adepti disposti ad anteporli a qualunque altra considerazione. Anche solo morale, al pensiero dei riccastri russi che incuranti di tutti continueranno a fare shopping a Milano e ad Anversa.

Si parla di rifondare l'Europa, di un futuro nuovo per il sogno europeo, ma intanto ricordate a quanti si prodigano in fiumi di parole che in Grecia come in Polonia, insomma alle frontiere dell'Europa, la pratica dei respingimenti dei migranti, che sia in mare o nei boschi gelidi della Bielorussia, è diventata procedura ordinaria; a volte, come è stato in Polonia, condita con le buone intenzioni di offrire un viaggio di ritorno gratis nel paese da cui sono fuggiti.

Da cosa si riparte se non dalla persona? Dalla tecnologia magari? O dalla scienza? O più semplicemente dai soldi?

L'Europa si mostra vulnerabile al cospetto della guerra in Ucraina non perché sprovvista del potenziale bellico per eventualmente difendere i proprio confini in caso di aggressione, ma perché proclama valori vuoti e al momento dei fatti sparisce e passa nelle retrovie. Come sta accadendo al povero Zelensky che si è ritrovato di colpo completamente solo di fronte alla collera di Putin.

Clotilde Lombardi Satriani

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Arrivano i campioni europei nel settore dei semiconduttori

8 febbraio 2022

Al commissario Thierry Breton non piace la parola "campione". O meglio, va bene se parliamo di campioni del calcio o di qualche altra disciplina sportiva, ma no, se parliamo di imprese la parola proprio non gli piace. Forse perché evoca una gara dove dovrebbe vincere il migliore, in teoria. Non quello che è pagato di più. Si perché oggi la Commissione europea ha compiuto un passo importante con l'adozione del Chips Act, una serie di misure che dovrebbero permettere all'Europa di limitare la sua dipendenza dall'estero e magari provare ad affermare una propria leadership nel settore dei semiconduttori e dei microprocessori. Si, proprio quei dispositivi che consentono alle nostre vite di essere sempre più tecnologicamente dipendenti. Che si tratti della sanità, dell'automobile, delle telecomunicazioni o della difesa, oggi la differenza si misura in nanometri, per cui il traguardo ora è rappresentato dalle nuove palette in silicio dello spessore di 1.4 nanometri. Ma...però c'è un ma. Grande quanto quel pilastro del mercato unico europeo che si chiama principio di libera concorrenza e che da sempre ha stabilito che gli aiuti di stato sono illegittimi perché alterano artificialmente la competizione tra imprese. Ora invece il Chips Act, oltre a mobilizzare 11 miliardi di euro, consente agli Stati membri - in via eccezionale nelle intenzioni della Commissaria Vestager, il che significa sino al 2030 - di derogare alle regole sugli aiuti di stato ed investire sino a 30 miliardi di euro in Progetti di Importante Interesse Comune Europeo e nelle c.d. Mega Fabbriche. In realtà, a forza di deroghe è dall'inizio della pandemia COVID-19 che gli aiuti di stato non sono più aiuti ma legittimi interventi di protezione. Con il risultato, certificato nell'ottava relazione sulla politica di coesione, che le disparità regionali sono in calo dal 2008, ma restano più grandi di quanto non fossero nel periodo precedente la crisi economica.

CLS

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Risultati Vertice Informale del 23.02.2018

Bruxelles, 24 febbraio 2018

La riunione informale dei Capi di Stato e di Governo che si è tenuta ieri a Bruxelles non ha ovviamente preso decisioni, ma ha senza dubbio dato significative indicazioni su alcuni temi europei di interesse strategico; quali: la composizione del prossimo Parlamento Europeo, le modalità di scelta del futuro presidente della Commissione europea e le linee portanti del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale(QFP).

Prima di entrare nel merito dei singoli temi può essere utile ricordare che il vertice di venerdì si colloca all'interno della cosiddetta "Agenda dei Leader", ossia quel programma di lavoro che i leader europei si sono dati per orientare l'azione della UE nei prossimi due anni e affrontare le principali sfide che abbiamo di fronte.

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Il Pensiero debole esiste: e abita in Europa

Bruxelles, 22 dicembre 2017

La vicenda Catalana è una vicenda assai complessa, con implicazioni capaci di toccare molti piani della vita sociale di una nazione e di un popolo. I fatti spagnoli di questi ultimi giorni possono essere analizzati da vari punti di vista: politico, istituzionale, sociologico, ecc.

Vorrei provare una riflessione da un punto di vista specifico e particolare; quello che riguarda l'UE e il suo processo di unificazione, ossia rispondere al quesito: quali domande pone all'UE dalla questione catalana?

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PERCHE’ LA CINA ADESSO FA PIU’ PAURA

Bruxelles, 20 dicembre 2017

Il 20 dicembre è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla metodologia per il calcolo e l’applicazione dei dazi anti-dumping. A prima vista potrebbe apparire come una delle tante normative che Bruxelles c’impone nella convinzione di agire per il bene comune di tutti i cittadini europei. In realtà questo nuovo passo nella politica commerciale europea segna una profonda rivoluzione nel modo stesso di intendere il concetto di interesse comune

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L’accordo Turchia-Ue, veramente efficace e sostenibile?

3.07.2016

Il controverso accordo tra Turchia e Unione sul controllo della rotta balcanica ha superato ormai il primo trimestre di operatività. Molto è stato scritto su questo “patto col diavolo” che esternalizza la gestione delle frontiere appaltandola alla Turchia, in cambio di un contributo per l’attuazione di sei miliardi di euro e la ripresa dei negoziati per l’adesione all’Ue. Alcuni commentatori considerano l’accordo un potenziale strumento di ricatto nelle mani di Erdogan, che sarebbe libero di utilizzare la regolazione dei flussi come una valvola da azionare a proprio piacimento per mettere sotto scacco l’Europa in futuro su tematiche specifiche.

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New Partnership Framework, la strategia della Commissione per il controllo delle frontiere esterne

30.06.2016

L’8 giugno a Strasburgo i vice presidenti della Commissione Timmermans e Mogherini hanno levato il sipario su quello che viene ancora chiamato “migration compact”, mutuandolo dal nome dell’originaria proposta italiana, ma che in realtà è giuridicamente costituito non da un unico, ma da una serie di “compacts” con alcuni paesi terzi chiave, nello specifico Etiopia, Libano, Giordania, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, ma che mira a comprenderne altri 9. Il Consiglio europeo del 28 giugno ha per buona parte avallato la strategia, con qualche modifica significativa. In particolare gli Stati membri non hanno ancora raggiunto un accordo circa la copertura finanziaria delle nuove partnership previste.

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Atto quinto: quali conclusione?

Bruxelles, 1 febbraio 2016 - Piercarlo Valtorta

Con questo quinto articolo giunge al termine il nostro percorso di riflessione sugli aspetti macro , sia economici che sociali, del rapporto UE-Italia. Queste note conclusive sono, allo stesso tempo, punto di partenza per ulteriori riflessioni (vedasi la politica estera e di sicurezza, ecc) che svilupperemo nel prossimo futuro e nella stessa formula giornalistica.

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Atto Quarto: Per una società più stabile

Bruxelles, 25 gennaio 2016 - Piercarlo Valtorta

Quarto momento del nostro percorso di riflessione sul rapporto UE-Italia. Dopo aver considerato la situazione e gli attori in campo, può essere utile chiarire quale può essere il comune obiettivo. Quale dei due contendenti mostra di ricordare meglio che lo scopo della politica è il bene dei cittadini? E come ricorda ciò nella sua azione concreta?

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