L'Europa fortezza, e la crisi degli agricoltori

13/02/2024

Il nuovo codice Schengen, che presto entrerà in vigore dopo che Parlamento e Consiglio hanno trovato l’accordo, è il consolidamento di un processo di progressiva chiusura delle frontiere esterne dell’Europa, sia pure limitatamente al fenomeno della immigrazione c.d. irregolare o in circostanze di emergenza quali le pandemie.

Letta nelle sue implicazioni, sul piano della dignità dell’uomo in quanto tale, il cambio di passo dell’Europa lascia intendere in realtà tutt’altro: anche le persone , al pari delle merci, devono essere regolamentate  quando entrano in Europa e se questo non è possibile perché vi accedono per vie illegali, allora l’unica soluzione eletta dagli Stati membri e dalla Commissione è quella dell'inasprimento dei controlli e delle misure di repressione, quali I rimpatri accelerati e forzati.

Invece, gli agricoltori europei lamentano l’ingresso, quello sì legale in base agli accordi di libero scambio, di beni agricoli che vanno ad intaccare, pur con qualità scadente ma forti di prezzi più bassi, la loro stessa esistenza sul mercato.

Quello che non si mette in evidenza è che esiste tuttavia un nesso tra I due fenomeni. Infatti gli accordi di libero scambio sono stati per anni la vera arma geopolitca dell’UE, capace di condizionare le relazioni con I paesi extra UE, imponendo loro, in cambio delle agevolazioni tariffarie, il rispetto di una serie di condizioni nel campo dei diritti umani, sociali ed ambientali.

Oggi la Tunisia è tra i paesi di partenza delle masse di uomini e donne in cerca della loro terra promessa. Ma la Tunisia , protagonista negli scorsi anni di un’illusoria rinascita democratica durante il periodo delle c.d. primavere arabe, venne fatta oggetto di particolare attenzione da parte dell’Unione Europea, che proprio per incoraggiarne la difficile transizione verso forme di governo più democratiche, abolì nel 2016 una serie di dazi, tra cui quelli sull’olio d’oliva, principale produzione di quel paese.

Le conseguenze di tale politica sui nostri agricoltori, e non certo sugli agricoltori olandesi o tedeschi, le conosciamo bene, come pure è accaduto con le arance del Marocco.

Sforzi anche generosi, ma che si sono rivelati inutili, sostituiti di recente da nuove promesse economiche in cambio  dell’impegno da parte della Tunisia  di impedire le partenze dei migranti.

Ma intanto un intero settore agricolo, in particolare nelle regioni meridionali, ha subito la nefasta combinazione di xilella, siccità e concorrenza estera inarrestabile.

Il Commissario Dombrovskis ha rivendicato davanti al Parlamento Europeo un surplus di oltre 60 miliardi del settore agro-alimentare europeo, grazie agli accordi di libero scambio come quello del 2018 con il Canada.

La domanda che c’interroga tutti quando pensiamo al futuro dell’Europa è come saprà restare in piedi in un mercato mondiale che sembra voler rigettare la globalizzazione ed attuare invece  politiche di protezionismo dall’esterno e di aggressione anche sleale verso l’esterno.  La Cina lo ha sempre fatto, in futuro potrebbero farlo anche gli Stati Uniti se dovesse essere rieletto Trump.

CLS

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