E' lecito interrogarsi sul futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Le prospettive sono, nella migliore delle ipotesi, problematiche, sul fronte di possibili nuovi dazi, ma non solo.
"L'Europa deve impatare a svilupparsi da sola". Pensiero di molti e parole testuali di Mario Draghi. E l'appello ripetuto da tutti è di restare uniti. Ma solo un'anima unita è capace di procedere senza rattoppi, nella linearità di un cammino condiviso. E l'Europa di un'anima avrebbe un gran bisogno, Jacques Delors lo aveva ben compreso alla vigilia della svolta impressa dal Trattato di Lisbona.
Tutt'altro sta avvenendo in questi giorni di confuso riassetto dei criteri guida. Eppure tanti, fuori dalle vorticose logiche delle istituzioni europee, si chiedono con semplicità e inquietudine: chi salverà il mondo? Iperbole per significare che guerre, devastazioni climatiche e tecnologie sempre più pervasive obbligano a fare i conti con il timore che l'Europa da sola non possa farcela a difendere valori considerati universali, come i diritti umani, la libertà, il rispetto delle regole tra Stati e sopratutto, la sua svolta all'avanguardia per un impegno concreto in favore del pianeta. Nella scorsa legislatura il vessillo di tanta determinazione prese il nome di Green Deal.
Ora i timori sono che populismi, sovranismi e nazionalismi di diversa ispirazione e matrice trovino infine uno stabile aggancio alla sponda trumpiana; lasciando dall'altra parte del fiume gli eurpeisti convinti. E che l'esito sia un consenso interno sempre più fragile e frammentario.
Ma cosa significa oggi essere un eurropeista convinto? Cosa significa oggi rispetto solo a cinque anni fa, a prima della pandemia, a prima della guerra in Ucraiana? E' urgente avere una risposta, non solo a livello di istituzioni europee e di partiti politici, ma nel sentire comune dei cittadini europei, perchè solo un'anima unita è capace di resilienza. Un recente sondaggio Eurostat pone incima alle preoccupazioni degli europei proprio il clima e le conseguenze imprevedibili del suo cambiamento. E allora essere un europeista convinto poteva dire sino ad oggi battersi per invertire la rotta, assurgendo a modello di rigore e coerenza, com'è giusto che sia quando il tempo non è più dalla tua parte. E' motivo di orgoglio porsi alla testa di una battaglia giusta.
Ma qualcosa si è messo di traverso. Gli agricoltori, i produttori di auto e poi l'intera comunità industriale europea hanno progressivamente allungato l'elenco di quanti vogliono la rivoluzione, ma oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente.Da ultimo il voto ieri al Parlamento europeo per depotenziare il regolamento sulla deforestazione, con la spaccatura eclatante tra i partiti che sino ad oggi si ritenevano europeisti e uniti, ha dato il colpo di grazia alla credibilità dell'Europa in questa battaglia.
Trump si annuncia emule di se stesso nel disimpegnare gli Stati Uniti da ogni impegno globale per il clima. L'Europa rischia di diventare il simulacro di se stessa serbando l'apparenza, ma non la sostanza di una transizione verde efficace. E allora, chi salverà il mondo?
CLS
Al quinto summit internazionale della Comunità politica europea (EPC), che si è svolto ieri a Budapest, a casa del premier Orban, erano presenti quasi tutti i capi di stato e di governo dei 42 paesi che ne fanno parte, inclusi Regno Unito, Turchia e Ucraina. Assenti il premier spagnolo Sanchez, che deve far fronte al post alluvione a Valencia, e il cancelliere tedesco Scholz, alle prese con un terremoto interno di altra natura.
Zelensky, lui si, era presente, come lo è sempre stato; e per questo Trump lo aveva paragonato ad un venditore, non più di un mese fa. Ora tocca a lui far fronte ad una minaccia esistenziale, quella di ritrovarsi nella fossa dei leoni da solo.
Colpisce il discorso che ha pronunciato ieri in apertura dei lavori. perchè ha usato tinte forti per ricordare a tutti, in primis agli europei, la posta in gioco. Quella oscura profezia che si lega alla presenza di soldati della Corea del Nord sul suolo europeo, col preciso mandato di uccidere ucraini in Europa. E tutto questo va ad aggiungersi ad una decisa intensificazione delle operazioni militari russe. La preoccupante coalizione tra la Russia e la Corea del Nord è in fondo animata dalla stessa logica di Trump, sebbene le intenzioni dovrebbero essere divergenti, e cioè che solo la forza può imporre la pace. Ora questa forza di contrasto, sinora, l'Ucraina ha potuto esibirla grazie al sostegno dell'Occidente, ma ora quella coalizione potrebbe sfaldarsi sotto i colpi del nuovo corso che vorrà imprimere Trump alla politica estera degli Stati Uniti.
Zelensky non ha usato giri di parole; ha detto chiaramente che fare "concessioni" a Putin in cambio della pace sarebbe inaccettabile per l'Ucraiana, ed un suicidio per l'Europa. Sopratutto perchè, riferita a quest'ultima, sarebbe un segnale imperdonabile di debolezza, tale da svuotare di efficacia qualsiasi approccio alla pace attraverso la forza. No, la pace che insegue Zelensky, una pace giusta come ricorda in ogni sua dichiarazione, richiede sì la forza, ma la forza di non cedere al crimine commesso da Putin con l'invasione dell'Ucraiana e l'occupazione di alcune sue parti. E' facile per il premier ucraino proclamare un 'evidenza: che Putin non ha dato inizio a questa guerra per conquistare più terre, ne ha in abbondanza, ma per conquistare il potere in chiave anti Occidente.
Quindi, una minaccia esistenziale, che l'Eiropa stenta ancora a decodificare nella sua reale portata e nelle conseguenze per il futuro.
Cita ancora Zelensky gli sforzi che sono stati fatti sul piano diplomatico, nonostante la narrativa prevalente che solo le armi abbiano parlato. E' stata elaborata nei consessi internazionali una Peace Fromula, che punta su temi quali il nucleare, la sicurezza alimentare, la sicurezza energetica, il ritorno dei prigionieri ed altro ancora. Ma, c'è da dire, a poco sono valse, se è mancata ogni colta la condivisione di tali punti con chi - Cina e la stessa Russia - si sono fatti alfieri di un nuovo ordine mondiale.
Ma la guerra, e soprattutto la ricostruzione, si fanno con i soldi. E su questo punto Zelensky ha voluto ribadire che i proventi derivati dai capitali russi congelati in Europa non hanno altra rivendicazione che quella avanzata dall'Ucraina. A poco serve, però se dall'altrolato le sanzioni imposte dall'Occidente a Putin vengono facilmente eluse attraverso transazioni commerciali spesso opache.
Il discorso di Zelensky incontrerà orecchie attente in Europa, ma menti disorientate dal nuovo scenario che irrompe con il ritorno di Trump. Il suo appello all'unità è la vera sfida esistenziale dell'Europa di domani.
CLS
Dalle elezioni europee di giugno è difficile trovare una settimana più densa di avvenimenti e confronti tra l'Europa e il resto del mondo. Gli osservatori e gli analisti fanno fatica a comporre il quadro, tanti sono gli input e le suggestioni che ogni singolo giorno della settimana ha regalato. In sequenza: Primo Summit di cooperazione UE - Paesi del Golfo; Vertice europeo dei capi di stato e di governo; Vertice dei ministri della difesa della NATO. Cui si è aggiunta la notiza ieri dell'uccisione da parte dell'esercito israeliano del leader di Hamas, Sinwar, tra l'altro avvenuta per caso.
Eppure su tutti un evento brilla di speranza, mentre a Bruxelles le nubi sono di casa come sempre. Si tratta dell'incontro tra Papa Bergoglio e l'ex premier israeliano Olmert e l'ex ministro degli esteri palestine Al -Kidva, che ha avuto luogo ieri in Vaticano.
Si, perchè una lezione emerge chiara da questa concitata settimana a Bruxelles: i vertici dell'Europa sanno parlare ( a vuoto per lo più) di guerra, ma non sanno cercare la pace. A livello diplomatico, sul conflitto in Medio Oriente tante spaccature e distinguo tra i leader europei, che hanno ulteriormente irradiato verso l'esterno la propria frammentazione interna, già ben visibile a seguito della guerra in Ucraina. Ma non una sola iniziativa di dialogo, anche magari attraverso attori politici fuori dalla scena, ma pur sempre rappresentativi delle loro rispettive comunità.
Come invece ha saputo fare ieri il Vaticano, dando così l'opportunità di portare all'attenzione dell'opinione pubblica almeno un'ipotesi, neanche velleitaria o illusoria, di un nuovo assetto tra Israele e lo Stato palestinese oltre la guerra attuale.
Sembra che in Europa siamo ancora orfani psicologicamente della guerra fredda e ci sentiamo chiamati solo a schierarci con o contro qualcuno, a seconda della posta in gioco. E quando la posta in gioco si riduce a scarti umani in rotta verso le nostre frontiere, allora la coesione fra gli stati europei di colpo si fa compatta e trasversale attorno ad un'unica metafora: fora de ball.
CLS
Se Israele non riconosce neanche più l'utilità ed il senso della presenza di UNIFIL, diretta emanazione delle nazioni Unite, come forza di interposizione con il Libano, figuriamoci se può prendere in considerazione qualunque iniziativa diplomatica intrapresa dall'Europa. Sarà per questo che ad occupare di più i leader europei è come sempre il tema dell'immigrazione. Con la definitiva presa d'atto che respingere, in certe condizioni, è meglio che soccorrere ed accogliere; e se non si piò respingere, perchè il diritto internazionale lo vieterebbe, allora a quanti arrivano illegalmente gli si riserva la novità del trasferimento forzato in centri di rimpatrio extra UE.
E poi gli accordi, i c.d. partenariati internazionali, molto chiari nelle intenzioni: soldi in cambio di chiari impegni a chiudere le frontiere di quei paesi per impedirne l'emorragia di esseri umani verso le coste europee.
la prossima settimana si svolgerà il Vertice dei capi di stato e di governo, come da prassi in autunno. Un'agenda mai così complessa e uno scenario mai così incerto. Quanto saprà ritrovare di se stessa un'Europa fragile di senso e di valori.? Davvero vorremmo che le contraddizioni e l'ipocrisia non superassero il limite della decenza: se affermi di credere in valori superiori agli interessi non devi fare accordi con il Rwanda per le materie prime critiche, se tali accordi per te vitali si traducono poi in guerre spietate tra bande nel Congo per il commercio illegale di quelle materie.
Siamo tutti connessi, ma troppo indifferenti.
CLS
Si apre la settimana di Strasburgo con il Parlamento riunito in plenaria nel bel mezzo di un'impennata del conflitto in Medio Oriente e mentre, sull'altro fronte, Zelensky annuncia che il 12 ottobre presenterà agli alleati un piano per la vittoria, cone lo ha definito.
Ma tra le pieghe dell'agenda della settimana di plenaria s'intravedono sprazzi di un futuro forse solo vagheggiato, ma comqunue evocato. Infatti martedì, alla presenza dell'Alto Rappresentanto per la politica estera Borrell, so discuterà di governance mondiale e di come trasformarla per stabilire la pace e il rispetto dei diritti umani tra le nazioni. Lo stesso nobile intento che alla fine della seconda guerra mondiale aveva fatto esclamare a Papa Paolo VI ospite dell'Assemblea delle nazioni Unite ( la prima volta di un pontefice) " Jamais plus la guerre. Plus jamais". Quelle parole ebbero un eco profonda, ma solo perché a proncunciarle era una personalità dotata di un carisma profetico unico e certo impraticabile nei palazzi del potere. Incluso quello di Strasburgo.
Ma ancora di più l'Europa prova a immaginare un futuro di giustizia (!), quando il giorno dopo, mercoledì, discuterà della proposta vagamente rivoluzionaria e di sinistra di tassare i super ricchi, come auspicato dalla Presidenza del G20. Se applicato davvero un tale principio vedrebbe uno spartiacque crearsi tra una minoranza di detentori di ricchezza, ai quali la transizione digitale sta giovando più del dovuto, ma non solo: anche la pandemia, le guerre e via dicendo; e il resto dell'umanità che si smaterializza nella povertà.
utopie, direbbe qualcuno, ma intanto se ne parla. E chissà che non sia un buon inizio.
CLS
La nuova Commissione a guida von der Leyen, al suo secondo mandato, propone la novità di un portafoglio specifico per il Medieterraneo, affidato a Dubravka Suica, anche lei al suo secondo mandato dopo l'attuale in scadenza che riguarda , tra l'altro, anche la democrazia e lo stato di diritto. Le sue nuove competenze le attribuiscono il compito di vegliare sul rispetto dei valori europei e dei diritti umani nei partenriati con i paesi del Mediterraneo, che in buona sostanza sono finalizzati a impedire l'affluso di immigrati irregolari sulle coste di Italia, Grecia e Spagna.
L'escalation della guerra condotta da Israele contro le organizzazioni terroristiche presenti a Gaza e nel Libano, ed ora inquadrata anche a livello di relazioni tra Stati dopo ll'attacco ieri dell'Iran, si sfogherà inevitabilmente su flussi ingenti di profughi da quelle zone. Sarà il banco di prova per sperimentare l'auspicata sinergia tra commissari con portafogli separati ma contigui.
Ma sarà soprattutto il momento in cui esserci per l'Europa può fare la differenza, dato che sul piano diplomatico ancora una volta l'Europa ha opposto la sua inspiegabile inconsistenza rispetto ai fatti accaduti. Tutti invocano la diplomazia, ma cosa mai avrebbe potuto un'entità politica frastagliata quale l'UE di fronte ad uno Stato, Israele, che fa sul serio come non si vedeva dai tempi della seconda guerra mondiale, quando la categoria del nemico autorizzava il principio "mors tua, vita mea".
Ora l'Europa deve decodificare un'area geografica che non le è pertinente solo per gli aspetti dell'immigrazione o del commercio, ma dove si sta realizzando quel nuovo ordine mondiale di incerta definizione, tranne che nei suoi attori geopolitici, in primis gli Emirati Arabi.
CLS
All'Assemblea Generale delle nazioni Unite non si trova l'accordo per imporre la pace ai troppi conflitti in atto, ma almeno si è raggiunta l'unità d'intenti per combattere il killer silenzioso responsabile, in maniera diretta e indiretta, nel solo 2021 della morte di quasi 6 milioni di persone: la resistenza agli antibiotici.
Contestualmente l'Alto Rappresentante per la Politica Estera Borrell ribattezzava il massimo organo dell'ONU a presidio della pace mondiale, definendolo Consiglio di Insicurezza. Chiamare le cose con il proprio nome obbliga a riconoscerne la verità di fondo. A nulla infatti, per ora, è valsa la richiesta congiunta da parte della UE ed altri 11 paesi, tra cui Emirati Arabi, Arabia Saudita e Quatar, per un cessate il fuoco in Libano.
Due minacce esistenziali, una invisibile, l'altra sotto i riflettori dei media di tutto il mondo interrogano sul futuro della governance mondiale, da più parti auspicato per far fronte alle autentiche sfide comuni: l'ambiente e la salute, del resto strettamente connesse.
Resta fuori, invece, l'utopia a lungo coltivata sulle ceneri della seconda guerra mondiale che mettendo insieme, allo stesso tavolo, i king/queenmakers del mondo servisse a frenarne le derive espansionistiche.
Oggi quell'architettura piramidale è messa in discussione non nel nome di un principio di democrazia paritaria, ma perchè i c.d. grandi della terra , o almeno alcuni di essi, vogliono di nuovo spartirsi il mondo.
E l'Europa che farà?
CLS
La prima volta che lo ha fatto in forma partecipata è stato con la Conferenza sul Futuro dell'Europa nel 2021, che avrebbe dovuto essere un grande esercizio di democrazia prospettica, capace di aprirsi al cambiamento e di ascoltare i suoi cittadini. In realtà, considerandola a due anni dalla sua conclusione, si è dimostrata poco più di un'esercitazione in grande stile che, sebbene la minaccia del nemico si sia già fatta avanti, non riesce a tradursi in una concreta mobilitazione.
Oggi, all'inizio di una legislatura e di un nuovo ciclo istituzionale con il rinnovo di tutte le cariche europee, si moltiplicano le voci nel deserto che invano annunciano la necessità di un cambiamento radicale, pena la fine della stessa Europa.
Perché? Contraddizioni interne, mancanza di coesione, frammentazione politica? Le ricette per recuperare competitività o per aumentare le capacità di difesa e l'autonomia strategica sono sul tavolo, ma rischiano di finire nel cassetto.
Osservando i fatti nella loro evidenza si constata che l'Europa ha fallito o sta fallendo nella missione di stare come torre ferma, baluardo di pace sferzato dai venti di guerra che soffiano da più direzioni. E invece così non è stato.
Manca una visione europea di pace, perchè mancano ponti con quel resto del mondo, di spropositate dimensioni, che affrancatosi dal giogo coloniale, oggi si riversa ai confini dell'Europa in cerca di un futuro. e l'Europa che fa? Si organizza per "intercettare" quella massa scomposta di umanità in fuga e rispedirla indietro. In questo modo i tanri canali di sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo, in particolare dell'Africa, e le tante iniziative per stabilire relazioni di collaborazione vengono ad essere ricoperte dalla rappresentazione distorta e infamante di un continente vecchio, ricco e indifferente; paradigma di una nuova forma di colonialismo.
Si corre ai ripari. Si moltiplicano le dichiarazioni di una cooperazione alla pari, win-win, per non dover ammettere che oggi siamo noi, i ricchi europei, ad avere bisogno delle materie prime critiche custodite nella cassaforte africana.
Siamo alla vigilia di cambiamenti, chissà se radicali o tali da accelerare le più pessimistiche visioni del futuro.
CLS
A primo sguardo si è portati ad apprezzare quella che è l'altra faccia della medaglia quando si parla di immigrazione. Non soltanto un progressivo scivolamento verso politiche di chiusura e respingimento, talché si parla oggi di Europa fortezza, ma anche la lodevole volontà di stabilire con i paesi terzi dei partenariati per consentire l'ingresso di talenti in linea con i bisogni del mercato del lavoro europeo.
A tale logica risponde il programma "Sostenere un partenariato per le competenze con il Bangladesh", lanciato ieri.
Eppure qualcosa stona, in questo quadro. Sarà perchè le encicliche papali degli ultimi anno tante volte ci hanno messo di fronte al dramma della cultura dello scarto che avvelena le nostre società, fatto sta che proprio non si riesce a mettere a confronto, da un lato la ricerca di talenti da "rubare" ai paesi terzi, venendo tuttavia incontro ad un legittimo desiderio di tante persone di cercare una vita migliore altrove mettendo a frutto le proprie competenze, con la benedizione dei rispettivi governi, e il modello Ruanda, o Albania se preferite, sempre più sdoganato a livello europeo e non più di singoli stati, per risolvere il probelma ingombrante di quanti giungono in Europa non invitati e per nulla graditi a causa della condizione di povertà economica e formativa.
Cosa altro è tutto questo se non cultura dello scarto? Salvo non nascondere la polvere sotto il tappeto, come fatto fionora nei centri di detenzione e vari hotspot, ma spostare lo smaltimento degli scarti oltre le frontiere della UE, anche il più lontano possibile, se necessario.
Tanto sono solo esseri umani.
CLS
Dovendo ragionare sul futuro dell'Europa, come da tempo si va ragionando in Europa, può capitare di rimpiangere di non averlo fatto prima, perchè ora tutto appare più difficile. Dinanzi alle incognite del tempo presente, infatti, si rischia che il disorientamento acuisca le divisioni sempre all'opera nel processo di integrazione europea. Quanto sta accadendo nel mondo, in più parti del mondo, è sotto gli occhi di tutti; ma come debba concretamente reagire l'Europa è nella mente di pochi.
Di certo al Vertice europeo che si svolgerà domani a Bruxelles se ne parlerà, sotto diverse angolazioni. Su tutte il tema della competitività economica. L'Europa, spiegata con concetti che non vogliono banalizzare ma recuperare una visione d'insieme, si trova ad affrontare un mondo in guerra, e incomincia seriamente a chiedersi come farà a restare in sella se ile servono tanti soldi per una difesa comune e se le regole in materia di commercio mondiale non la proteggono più come un tempo dagli appetiti smodati dei grandi competitor quali Cina, Stati Uniti, Russia. In altre parole, come restare a galla in mezzo agli squali.
In questi anni siamo stati fiduciosi e orgogliosi della bandiera europea che sventola gagliarda sul cammino dell'umonaità verso un futuro sostenibile e non più votato all'autodistruzione. La condivisione tra i 27 stati membri di obiettivi climatici così ambiziosi , per cui al 2050 l'Europa intende essere la prima economia a zero emissioni, si sta sgretolando dinanzi alle proteste generalizzate di agrioltori, industriali, proprietari di case e via dicendo; e sta cedendo ancor più alla paura di doversi difendere e non sapere come. Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e l'industria, ha stimato in 100 miliardi il fabbisogno dell'industria della difesa europea nei prossimi anni. Nelle sue parole si intravede lo spettro, nel caso di una rielezione di Trump alla Casa Bianca, di una possibile intesa "non convenzionale" tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin, a scapito della Nato, dell'Ucraina e dell'Europa tutta. Interessi che vanno oltre la dinamica tra grandi potenze e e sfociano nel puro e semplice imperialismo autoreferenziale.
Eppure l'Europa è il frutto della caduta degli imperialismi e dei totalitarismi e di una forza nuova che è stata la pace. Non quella post bellica semplicemente, ma quella voluta e costruita con pazienza e tenacia da menti e cuori visionari. Se tutti gli europei sapessero fare appello a quella forza e testimoniarla a quanti oggi in tutto il mondo vi aspiranocon la stessa determinazione a dare tutto pur di averla, la follia della guerra troverebbe la sua giusta condanna.
Clotilde Lombardi Satriani
L'Unione Europea, a livello di ministri degli Esteri, ragiona sulla guerra in Ucraina e lo farà ancora una volta lunedì 18 marzo, alla vigilia di un Vertice dei Capi di stato e di gioverno della UE che è già stato ribatezzato il Consiglio di guerra e che avrà luogo il prossimo 21 marzo. Il lavoro svolto in questi mesi in seno ai comitati per la cooperazione tra i governi, meglio noti come Coreper, consente di portare in dote il consenso dell'Ungheria allo stanziamento di 5 miliardi in aiuti militari all'Ucraina attraverso lo strumento creato ad hoc della European Peace Facility.
La parola che risuona nelle dichiarazioni di chi ha condotto le trattative è " a lungo termine"; vuol dire reperire le risorse finanziarie per dare un supporto anche militare all'Ucraina a lungo termine, appunto, senza il rischio di rincorrere l'irrefrenabile prosciugamento degli stock di armi e munizioni a disposizione.
Va bene a lungo termine, ma fino a quando?
La tanta temuta escalation c'è già stata, a guardare bene, ed è di natura antropologica. Avivene quando un organismo muta radicalmente essenza, spinto dalle circostanze ma per propria volontà. E' più che un semplice adattamento. Ora l'Europa nel giro di due anni ha deciso in progressione: di essere dalla parte dell'Ucraina; di sostenerla militarmente; almeno in linea di principio di farla entrare nella UE; di riarmarsi in una logica , " a lungo termine", autarchica, cioè a prescidnere dall'onnipresenza degli Stati Uniti in materia di sicurezza e difesa; e infine, fors'anco di inviare soldati sul campo.
Ecco perché in tanti, a cominciare dal Papa, si chiedono: fino a quando? E' certo che se il Green Deal costa tanto in termini di riconversione dell'industria e dell'agricoltura, potenziare l'industria della difesa europea invece promette solo ritorni economici in grande abbandonanza.
Non è certo l'Europa che avevano sognato i Padri fondatori. Ma spiegare la pace a chi non ha vissuto la guerra, nell'era dei social, può essere impresa ardua; ed è più facile mobilitarsi per la causa di un popolo che chiedersi che tipo di Europa vogliamo davvero. E' più facile urlare slogan che comprendere che se uno stato fornisce armi ad un paese terzo, di cui si è stabilito il bisogno di un aiuto militare, ma non lo faccio attraverso il filtro dell'Europa bensì di mia iniziativa, per poi andare a compensare in termini di soldi da versare e soldi da farmi rimborsare, è proprio l'idea di Europa che viene a risentirne.
Parleremo tanto di elezioni europee nei prossimi due mesi, ma intanto l'Europa brucia a sud e ad est. Fino a quando?
CLS
Dunque, il dado è tratto. Due anni di guerra, e forse una transizione verde che si è rivelata cammino arduo e insidioso per i i costi sociali e produttivi di interi settori, hanno definitivamente spinto l'Europa a ridisegnare il futuro secondo linee inimmaginabili soltanto alcuni fa: un panorama prolifico e minaccioso di armi, ma , sia ben chiaro, made in Europe.
E' strano, ma su tutto regna una grande ipocrisia. Nel manifesto adottato dal Partito Popolare Europeo in vista delle fatidiche elezioni europee si parla dei valori comuni e di una cultura giudaico- cristiana condivisa. Come perfetti sepolcri imbiancati, i politici del PPE dimenticano che proprio il massimo rappresentante del cristianesimo, Papa Francesco, ricorda al mondo intero che la radice del male è nella produzione di armi, perché, come diceva don Giussani, se produci migliaia di armi prima o poi qualcuno le userà.
Ma l'Europa ha paura. Ha paura del nemico esterno, che si chiama Russia e forse Cina, ed ha paura del nemico interno, di quell'odio neanche più tanto strisciante che inquina la sua linfa vitale e che si manifesta con episodi di intolleranza verso chi è debole, verso chi è diverso, verso chi da sempre è stato l'uno e l'altro ossia perseguitato a causa della sua diversità. Lo scorso dicembre la Commissione europea e l'Alto Rappresentante per la sicurezza e la politica estera hanno adottato una comunicazione congiunta, dal titolo " Nessuno spazio per l'odio in un'Europa che, unita, lo ripudia". Dopo lo scempio dell'odio di Stato del secolo scorso oggi constatiamo che esiste un odio anti-stato, semplice chiamarlo populismo, ma è molto di più. Comunque è in primo luogo odio.
L'Europa reagisce nella misura in cui può: immaginando di trasformare in prodotto economico un principio sfuggente, come la paura. E allora occorre chiedersi: basterà la paura a rendere i cittadini europei consenzienti alla nuova Europa che si profila all'orizzonte? E se è vero che se produci armi qualcuno prima o poi dovrà usarle, chi in Europa è disposto ad andare in guerra?
Il nuovo codice Schengen, che presto entrerà in vigore dopo che Parlamento e Consiglio hanno trovato l’accordo, è il consolidamento di un processo di progressiva chiusura delle frontiere esterne dell’Europa, sia pure limitatamente al fenomeno della immigrazione c.d. irregolare o in circostanze di emergenza quali le pandemie.
Letta nelle sue implicazioni, sul piano della dignità dell’uomo in quanto tale, il cambio di passo dell’Europa lascia intendere in realtà tutt’altro: anche le persone , al pari delle merci, devono essere regolamentate quando entrano in Europa e se questo non è possibile perché vi accedono per vie illegali, allora l’unica soluzione eletta dagli Stati membri e dalla Commissione è quella dell'inasprimento dei controlli e delle misure di repressione, quali I rimpatri accelerati e forzati.
Invece, gli agricoltori europei lamentano l’ingresso, quello sì legale in base agli accordi di libero scambio, di beni agricoli che vanno ad intaccare, pur con qualità scadente ma forti di prezzi più bassi, la loro stessa esistenza sul mercato.
Quello che non si mette in evidenza è che esiste tuttavia un nesso tra I due fenomeni. Infatti gli accordi di libero scambio sono stati per anni la vera arma geopolitca dell’UE, capace di condizionare le relazioni con I paesi extra UE, imponendo loro, in cambio delle agevolazioni tariffarie, il rispetto di una serie di condizioni nel campo dei diritti umani, sociali ed ambientali.
Oggi la Tunisia è tra i paesi di partenza delle masse di uomini e donne in cerca della loro terra promessa. Ma la Tunisia , protagonista negli scorsi anni di un’illusoria rinascita democratica durante il periodo delle c.d. primavere arabe, venne fatta oggetto di particolare attenzione da parte dell’Unione Europea, che proprio per incoraggiarne la difficile transizione verso forme di governo più democratiche, abolì nel 2016 una serie di dazi, tra cui quelli sull’olio d’oliva, principale produzione di quel paese.
Le conseguenze di tale politica sui nostri agricoltori, e non certo sugli agricoltori olandesi o tedeschi, le conosciamo bene, come pure è accaduto con le arance del Marocco.
Sforzi anche generosi, ma che si sono rivelati inutili, sostituiti di recente da nuove promesse economiche in cambio dell’impegno da parte della Tunisia di impedire le partenze dei migranti.
Ma intanto un intero settore agricolo, in particolare nelle regioni meridionali, ha subito la nefasta combinazione di xilella, siccità e concorrenza estera inarrestabile.
Il Commissario Dombrovskis ha rivendicato davanti al Parlamento Europeo un surplus di oltre 60 miliardi del settore agro-alimentare europeo, grazie agli accordi di libero scambio come quello del 2018 con il Canada.
La domanda che c’interroga tutti quando pensiamo al futuro dell’Europa è come saprà restare in piedi in un mercato mondiale che sembra voler rigettare la globalizzazione ed attuare invece politiche di protezionismo dall’esterno e di aggressione anche sleale verso l’esterno. La Cina lo ha sempre fatto, in futuro potrebbero farlo anche gli Stati Uniti se dovesse essere rieletto Trump.
CLS
Jacques Attali, teorico economico e sociale francese, scrittore, ex consigliere politico e alto funzionario pubblico, ha di recente pubblicato un libro dal titolo "Le monde, modes d'emploi" recensito nella Library Blog del Consiglio europeo. E' lo sguardo attento e preoccupato di uno storico, che disegna una parabola del comportamento umano attraverso due i secoli, a partire dalle primordiali società agricole nella culla della civiltà che era l'Oriente e poi in Cina, India, Grecia dove ad affermarsi erano i grandi imperialismi.
Attali analizza la svolta nel XI° secolo con il sorgere dell'ordine mercantile, precursore della moderna economia di mercato, dove a spingere lo sviluppo ed il progresso delle comunità locali vi è un fulcro urbano capace di dotarsi dei mezzi finanziari, militari e culturali per contraddistinguerlo come realtà autonoma. Due elementi ne caratterizzano l'esistenza: il cuore e la forma. Il primo viene ad identificarsi in successessione con le grandi città portuali da cui si governavano gli scambi commerciali con tutto il mondo, in sequenza storica: Bruges, Venezia, Anversa, Genova, Amsterdam, Londra, Boston, New York e infine Los Angele.
Oggi, nell'era contemporanea ci s'interroga con ansia dove si situerà il "decimo" cuore, se negli Stati Uniti, in Cina o in Europa. Ma lo scenario che si va profilando è un altro, ossia di una forma di espansione e dominazione senza cuore, governata non da strutture statuali ma dalle grandi imprese.
Venendo ai possibili scenari in un orizzonte 2050 Attali coglie con preoccupazione l'emergere di tre minacce gravi, potenzialmente mortali, ossia la questione climatica, l'iperconflittualità e l'artificializzazione. Se nell'immediato la questione climatica sembrebbe occupare il priòo posto, non foss'altro perchè adombra fosche minacce di desertificazioni di interi continente, anche la minaccia militare è più che mai atuale, non solo per i conflitti già in atto ma perchè lo spazio cybernetico con tutte le incongnite non preserva nulla e nessuno dalle sue conseguenze distruttive.
Infine l'artificializzazione, che non coincide soltanto con l'intelligenza artificiale, ma con quel processo per cui anche l'eesere umano potrebbe ridursi ad essere non più qualcuno ma qualcosa frutto di artefatto, all'interno deli processi di gestione di settori quali la sanità, l'educazione , l'informazione, le relazioni umane e via dicendo.
Attali si volge con sguardo disincantato calla speranza che l'umanità possa rendersi cosciente e penetrare con lucidità e consapevolezza nel proprio destino.
L'Europa ha bisogno di un'anima, diceva Jacques Delors. Ora Jacuqes Attali sembra ritrovare l'eco di quelle parole e rilanciarle più forti che mai.
Clotilde Lombardi Satriani
La vita oltre il male. Così Irene Shashar, sopravvissuta del ghetto di Varsavia, si è rivolta ai deputati in plenaria a Bruxelles per commemorare la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto.
Anche nelle assemblee più formali, come la plenaria del Parlamento Europeo, irrompe la voce dell'umanità messa alla prova. E' successo quest'anno in occasione della Giornata della Memoria. Non una commemorazione di routine, che evoca ricordi difficili da digerire, ma ormai in qualche modo sospesi nelle maglie della storisa No, quest'anno proprio quella storia si è fatta presente, con tutta la sua assurdità.
E' così che la presenza di Irene Shashar, sopravvissuta agli orrori del nazismo a Varsavia come una "bambina nascosta dell'Olocausto", in fuga attraverso una fogna verso il lato ariano di Varsavia dove amici di sua madre li hanno aiutati, è servita a ricordare oggi, a tutta l'Europa, che la posta in gioco non è soltanto il lutto per un attentato terroristico qualunque. E' qualcosa di più grave e profondo, con cui l'Europa tutta deve fare i conti, E precisamente il fatto che un conflitto di natura locale, come tanti nel resto del mondo, abbia avuto la capacità di suscitare ancora una volta l'ennesima manifestazione di intolleranza verso gli ebrei in quanto tali.
Irene Shashar vive ora in Israele. Ha detto: "Sono stata benedetta con l'opportunità di avere figli e nipoti. Ho fatto la cosa che Hitler ha cercato di prevenire così duramente. Hitler non ha vinto!”
Parlando della guerra in corso e degli attacchi terroristici del 7 ottobre, ha detto di aver lasciato il suo paese "in seguito a violenze, omicidi, stupri e terrore" e ha chiesto ai deputati al Parlamento europeo la loro solidarietà e il loro sostegno per far sì che gli ostaggi siano riuniti con le loro famiglie.
Dopo il 7 ottobre, "la rinascita dell'antisemitismo significa che l'odio del passato è ancora con noi", ha avvertito Shashar. "Gli ebrei ancora una volta non si sentono al sicuro in Europa. Dopo l'Olocausto, questo dovrebbe essere inaccettabile. ‘Mai più’ dovrebbe significare mai più.”
Riferendosi all'Europa, che ha saputo mettere da parte l’odio del passato e riunirsi, ha dichiarato che il suo sogno era che "i miei figli, tutti bambini, vivano in un Medio Oriente pacifico, libero dall'odio, specialmente verso di noi, gli ebrei. Nel mio sogno, gli ebrei trovano sicurezza ovunque scelgano di chiamare casa. E l'antisemitismo è finalmente una cosa del passato.”
Terminando il suo discorso, Shashar ha detto che mentre lei ha vinto contro Hitler, i suoi nipoti devono ancora lottare per la loro sopravvivenza. "Chiedo a voi, Parlamento d'Europa, di contribuire a realizzare il mio sogno. Insieme a voi possiamo porre fine all'antisemitismo e raggiungere una pace duratura."
Clotilde Lombardi Satriani
Bruxelles, 28 febbraio 2022
Gli eventi che si stanno verificando in Ucraina in questi giorni appartengono all'ordine delle cose imponenti.
Imponenti nel senso letterale del termine, quel tipo di cose che "si impongono" (per dimensione, gravità, forza,ecc.) e che al contempo "impongono" alle nostre coscienze e intelligenze modi non abituali di guardare e valutare la realtà; come la possibilità attuale della tragedia, la concretezza e vicinanza del dolore, la forza improvvisa e incontrollabile del male.
Il tutto sulla nostra terra. Perché l'Ucraina è Europa e gli ucraini - come i russi - sono europei.
I popoli, le società civili stanno reagendo come possono: con manifestazioni di massa (es. Berlino), di solidarietà (ovunque) di accoglienza (Polonia e Romania).
Ma cosa stanno facendo le grandi organizzazioni che la nostra civiltà ha creato appositamente per limitare e gestire i conflitti che la vita e la storia periodicamente pongono in essere?
Partiamo dall' ONU. E' stato immediatamente convocato il Consiglio di Sicurezza ove è stata proposta una risoluzione di condanna della Russia. Risultato: 11 voti a favore, 3 astenuti (Cina, India e Em. Arabi), 1 veto (Russia); risoluzione bloccata. Gli altri 170 paesi membri non hanno avuto altro modo per mostrare il loro sostegno all'Ucraina se non quello di alzarsi per un lungo applauso dopo le parole più che adeguate (chiedevano un minuto di silenzio per le vittime innocenti) dell'ambasciatore ucraino.
L'Unione Europea. Dopo i primi giorni di tentennamenti sembra stia rendendosi conto che non si può stare al traino degli USA quando il dramma si svolge sulla porta della tua casa.
E ieri sono iniziate le prime sanzioni serie e visibili. A oggi pare proprio che gli Stati membri dell'UE questa volta abbiano imparato ad agire insieme, lavorando su obiettivi concreti e misurabili. Il Covid ha insegnato qualcosa.
Per la prima volta nella sua storia l'UE ha deciso di fornire armi letali ad uno Stato terzo per la sua difesa.
Gli USA. Al di là delle parole forti del presidente Biden la loro azione e reazione é decisamente al di sotto delle possibilità contenute nel loro portafoglio.
La NATO. La NATO non è solo una struttura militare, ma all'interno dell'Alleanza Atlantica anche e soprattutto un attore di tipo strategico che opera su più piani, come quello economico, di controllo delle materie prime, delle vie globali di rifornimento, ecc.
Per ora sta agendo sopratutto su questo piano; ed è bene che sia così.
Rimane la Russia con i suoi alleati (Bielorussia). Perché Putin ha scatenato tutto questo? cosa ne spera? cui prodest?
Difficile rispondere. E forse non essenziale, a questo punto.
Vi è però una domanda che prima o poi noi europei dovremo porci e intorno alla quale forse alcuni insegnanti saranno chiamati a ragionare con i propri studenti; ed è la seguente: posto il rifiuto della guerra (vedasi Costituzione Italiana) quali strumenti si devono usare per "fermare il braccio che colpisce l'innocente"?
La società europea che uscirà da questo confronto dovrà aver fatto almeno qualche passo avanti nella capacità di distinguere e vivere congiuntamente il "rifiuto della guerra" e "l'applicazione della giustizia".
Clotilde Lombardi Satriani
Bruxelles, 1° marzo 2022
Nell'intento di rafforzare l'incisività delle misure contro la Russia e indurla a tornare sui propri passi, l'UE ha compiuto un nuovo balzo in avanti. Ieri il Consiglio ha deciso di utilizzare per la prima volta la European Peace Facility per inviare armi letali all'Ucraina, allo scopo, secondo le regole di ingaggio previste per questa operazione che strumentale sempre alla prevenzione , ripristino e mantenimento della pace. Nello specifico copre tutte quelle azioni che abbiano un'implicazione sul piano militare e della sicurezza. Dunque, la guerra in Europa tra Russia e Ucraina risponde in pieno ai criteri indicati; tuttavia, consentendo l'invio di armi di fatto l'Europa ha deciso di giocare su due piani: in primo luogo, si palesa in controluce l'inattesa possibilità che la resistenza opposta dagli ucraini all'avanzata dei russi possa invertire e capovolgere gli apparenti equilibri di forza più delle stesse sanzioni, senza dubbio di non poco impatto, adottate dall'UE. Dall'altro lato non si rinuncia al braccio di ferro sul piano economico tra la Russia gigante energetico e l'Europa che alla dipendenza preferisce la superiorità morale e internazionale. Si cerca in questo modo di smuovere anche le coscienze interne alla stessa Russia, perché sscelgano di stare dalla parte giusta della storia. Ma vediamo nel dettaglio le nuove misure adottate.
Sono vietati i voli di operatori russi in direzione o provenienza dall'Europa. Completamente. Sono vietate tutte le operazioni relative alla gestione delle riserve e delle attività della Banca centrale di Russia.
A titolo dello strumento dello strumento europeo per la pace (EPF) vengono stanziati 450 milioni di euro per finanziare la fornitura alle forze armate ucraine di materiale e piattaforme militari concepiti per l'uso letale della forza. Sono previsti poi ulteriori 50 milioni di euro in forniture non concepite per l'uso letale della forza quali dispositivi di protezione individuale, kit di pronto soccorso e carburante.
Certo, nessuno avrebbe immaginato che questo nuovo strumento, istituito nel 2021, avrebbe avuto quale banco di prova proprio il gigante russo, con cui l'Europa intrattiene molteplici relazioni commerciali ed economiche. E sopprattuto prima che gli stati europei si fossero dotati della c.d. Bussola Strategica per una politica di difesa comune. Si sa, i balzi in avanti o innovano o precipitano le cose. I prossimi giorni daranno l'esito.
CLS
3.07.2016
Il controverso accordo tra Turchia e Unione sul controllo della rotta balcanica ha superato ormai il primo trimestre di operatività. Molto è stato scritto su questo “patto col diavolo” che esternalizza la gestione delle frontiere appaltandola alla Turchia, in cambio di un contributo per l’attuazione di sei miliardi di euro e la ripresa dei negoziati per l’adesione all’Ue. Alcuni commentatori considerano l’accordo un potenziale strumento di ricatto nelle mani di Erdogan, che sarebbe libero di utilizzare la regolazione dei flussi come una valvola da azionare a proprio piacimento per mettere sotto scacco l’Europa in futuro su tematiche specifiche.
Nell’era del progresso, alcuni valori fondamentali dovrebbero essere talmente acquisiti da non aver bisogno di discussioni o ricerche. Uno per tutti, l’uguaglianza di genere. È tristemente noto invece che non è così, come messo in luce dalle notizie che, da tutto il mondo, riportano casi di violenze, soprusi e discriminazioni subite dalle donne, in casa, sul lavoro, nei luoghi pubblici. Ovunque. Sembra che per le donne nessun luogo sia sicuro e protetto.